Gianni Franceschini è nato a San Giovanni Lupatoto, in provincia di Verona, un luogo che ha amato molto e che ha influito non poco sulla sua formazione. L’Adige, le nebbie, le fabbriche, la campagna dove ha passato l’infanzia, un certo sapore di tradizione, però proiettata verso il progresso, hanno costituito i presupposti, lo sfondo stesso della sua crescita personale e artistica.
La sua attività di pittore ebbe inizio alla tenera età di sette anni, quando il padre gli regalò per il compleanno i primi colori ad olio. Un regalo semplice, apparentemente banale, che suscitò in lui un immediato amore per il disegno e il colore. La passione di Gianni Franceschini andò accentuandosi negli anni successivi, anche grazie al fecondo apporto del suo professore di arte alle medie e al rapporto con qualche pittore classico che operava in paese.
Ma è stata soprattutto una frenetica voglia di cambiare il mondo che ha infuocato la sua propensione artistica in tutti i campi a partire dai primi anni ’70, epoca in cui Franceschini frequentò dapprima il liceo e quindi l’università. Il recupero dei valori umani profondi, quelli vivi, ancestrali, subalterni, popolari; la loro forza rivoluzionaria e dissacrante, fuori dalle regole correnti dei benpensanti e bigotti; il desiderio dell’utopia, del sovrannaturale, del meraviglioso e un grande amore per la vita hanno fatto respirare, tra contraddizioni, tensioni e continua ricerca personale, il suo spirito artistico.
È come se, nel suo percorso artistico, vicende personali, ideali e amore per l’arte, per l’espressione piena e senza remore dell’esistenza si fossero compenetrati in un intreccio inscindibile. Così, sia nelle opere pittoriche di Franceschini, sia nelle sue poesie, canzoni e performance teatrali troviamo l’esaltazione della bellezza della natura, il tema dell’amore passionale, così come la rabbia per la condizione degli oppressi, diseredati, emarginati e la disperazione, il pianto, la malattia e la follia. Un’irrequietezza carica di vitalità, ma anche capace di emettere un urlo di protesta, una volontà mai doma di capire e nel contempo di dare spazio e voce alle emozioni più profonde e vere.
Franceschini realizzò le prime opere pittoriche intorno ai diciotto anni. Essendo un autodidatta e rimanendo caparbiamente dentro un sapore popolare, che era deciso ad enfatizzare e valorizzare, ha posto al centro dei suoi dipinti le figure umane, prendendo ispirazione dai grandi della pittura, come Van Gogh, Ligabue, Chagall, Matisse e Picasso. Tuttavia, Franceschini non si accontentava di offrire un dipinto finito, scisso definitivamente dal suo creatore. E, pertanto, si è cimentato nella pittura a teatro dal vivo, seguendo l’esempio degli espressionisti figurativi e in qualche maniera degli astrattisti, dell’action painting e della performance. Spesso, nelle sue opere pittoriche è rintracciabile una sintesi di queste suggestioni.
Tuttavia, con la maturità, il furore giovanile, con la sua necessità di comunicare speranza e risentimento, gioia e dolore, impegno e desiderio, sono andati affievolendosi, fino a portare Franceschini ad una forma di arte che non intende comunicare qualcosa di preciso, bensì dare spazio a visioni, a impulsi e stati d’animo che mutano con gli anni, di giorno e di notte, a seconda del momento vissuto e che generano stupore intenso, emozioni forti e vitali.
Questo aspetto si riscontra anche nella sua attività di illustratore di fiabe, racconti e di testi teatrali. Si nota, nelle sue illustrazioni, più che la volontà di cogliere il senso del testo o di approfondirlo, oppure di offrire un messaggio pedagogico, la volontà di regalare un’immediatezza espressiva, che parli direttamente all’anima del bambino. “Il mondo dell’infanzia è il grande patrimonio dell’umanità,” dichiara Franceschini, “io cerco di avere una relazione con questo mondo, da adulto, cercando un incontro e non dimenticando di essere stato bambino. Coltivando l’ingenuità come valore extraquotidiano… di un’altra dimensione, spesso mistificata, oltraggiata, usata e non capita, ma magica e misteriosa. Nel teatro è un po’ diverso, perché normalmente ci si deve rapportare con un mondo articolato… ma questo è un altro discorso. Dipingere e disegnare mi piace, provo piacere nel fare, se questo si manifesta all’esterno, bene! Sono ancora più contento.”
La ricerca di Gianni Franceschini, però, è ben lungi dall’essere esaurita. Nascendo come passione totale, che investe l’esistenza a trecentosessanta gradi, non si pone in maniera categorica nei confronti dell’una o dell’altra espressione artistica, le quali convivono senza mai prevalere l’una sull’altra. Il rapporto che c’è tra di esse è tutto concentrato nell’artista che ne è il motore, l’artefice. In altri termini, Franceschini tenta di mostrare la sua visione del mondo e dell’arte con tutti i mezzi a sua disposizione. Ed è così che si è composta la complessa figura dell’artista che Franceschini è oggi, un cantastorie che immagina e dipinge il suo e l’altrui immaginario, ma sempre con l’impressione che tutto sia incompiuto, con una sete mai paga di novità e di vivere nuove esperienze, di comprendere maggiormente il mondo e se stesso.
Sebbene egli non si riconosca in nessuno stile pittorico in particolare, fatta eccezione per l’espressionismo, con cui ha in comune il taglio ingenuo e forse infantile, verso la fine degli anni ’70 venne grandemente apprezzato dagli artisti naive, tanto che alcuni suoi quadri sono esposti permanentemente al prestigioso Museo Naif di Luzzara, e ha ricevuto numerosi riconoscimenti, quale la nomina nel 2000 di Maestro dell’arte naive. Ma neppure questo importante successo ha spinto Franceschini ad una definizione di sé. È un artista che rifugge le etichette, che si sente perennemente ai margini. Ai margini dei salotti dell’arte contemporanea, ai margini dell’intellettualismo artistico, ai margini del mercato. Il suo piacere più profondo non consiste nel ricevere il plauso del pubblico, bensì nel momento in cui crea, in cui mette a confronto se stesso con l’arte, con il grande sogno di riuscire a dipingere il mare che si muove, anche quello dentro.
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